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Kaki: una coltura di cui l'Italia deve riappropriarsi

"Negli ultimi 20-30 anni abbiamo perso quote di mercato perché fondamentalmente non sappiamo più produrre". E' l'opinione espressa dall'agronomo Vito Vitelli (nella foto sotto) del Consorzio Vivaisti Lucani (COVIL) in occasione del suo intervento all'incontro tecnico organizzato a Polistena (RC) dalla OP Natura (vedi articolo correlato).



"Miglioramento della qualità, incremento delle rese, abbattimento dei costi, rispetto della vocazionalità del territorio, rinnovo dei portinnesti, applicazione di tecniche di produzione innovative e rispettose dell'ambiente, scelte varietali orientate da attente indagini di mercato: questi gli obiettivi da perseguire avvalendosi della collaborazione di professionisti esperti nei settori della produzione e della commercializzazione" ha detto Vitelli, sottolineando quanto sia importante anche la divulgazione diretta in campo, la comunicazione e la formazione.

Potenziare la filiera di produzione del kaki in Italia può rappresentare un'opportunità per la frutticoltura?
Risposta affermativa, ma occorre dotarsi degli strumenti adeguati. I primi impianti specializzati nel nostro Paese risalgono al 1916 in Campania. Altre regioni di diffusione sono Emilia-Romagna e Sicilia (in particolare il kaki di Misilmeri - cfr. FreshPlaza del 25/01/2015).

"In Italia - ha aggiunto l'agronomo - il kaki esiste già da un secolo ma è considerata una coltura difficile, minore. E invece, negli ultimi 15 anni, gli Spagnoli hanno rivalutato il frutto sfruttandone le potenzialità. Il kaki ha il suo fascino e sta acquisendo quote di mercato rispetto ad altre varietà frutticole. Riappropriamoci quindi di una specie che era nostra!".



Perché produrre kaki?
Diversi gli aspetti accattivanti di questa specie: l'elevata qualità dei frutti, la precoce entrata in produzione delle piante (a partire dal terzo anno), la facile gestione degli impianti (con soluzioni intensive e piante "gestibili da terra" di ridotta statura), problematiche fitosanitarie limitate (oltre alla "mosca mediterranea della frutta" non ci sono particolari organismi nocivi temibili), contenute esigenze idriche (circa 2.000 metri cubo a ettaro), alte rese unitarie (oltre cinquanta tonnellate per ettaro).



Il kaki appartiene alla famiglia delle Ebenacee. "Non fa parte quindi di alcuna famiglia delle specie che già coltiviamo ed è in perfetta rotazione con quanto già si produce. Il principale problema di questo frutto è la sensazione gustativa di allappante, data dalla reazione tra i tannini contenuti al suo interno e la saliva".

Esiste un processo, chiamato detannizzazione, che consente la rimozione artificiale dell'astringenza del frutto, senza compromettere la consistenza. La detannizzazione con anidride carbonica, realizzata in apposite celle, consente di commercializzare e consumare un frutto con una polpa croccante e soda, senza rinunciare alle straordinarie proprietà organolettiche.



"La Calabria non ha tradizione nella coltivazione del kaki; oggi potrebbe essere una grande occasione" ha sottolineato Vitelli, aggiungendo che si tratta di una varietà che può essere gestita in quattro o cinque mesi. "Si può iniziare a raccogliere a metà ottobre e finire a metà dicembre. Il prodotto poi può essere conservato per un altro paio di mesi. Per un'organizzazione di produttori si tratta sicuramente di un vantaggio. Il tutto però avvalendosi delle tecniche e degli strumenti giusti".

Su questa specie frutticola il COVIL sta investendo e scommettendo da circa un decennio. Punto di partenza è la qualificazione del materiale vivaistico, con la selezione di un clone di "Rojo Brillante" direttamente in Spagna, particolarmente interessante per la costante produttività, le rese elevate e le caratteristiche straordinarie dei frutti, consistenza della polpa, pezzatura, colore, sapore.



Cenni sulla coltivazione
"Attenzione soprattutto alla scelta del materiale vivaistico e del materiale di propagazione - ha ben precisato l'agronomo - Il portinnesto più consigliato è il Loto, per l'ottima affinità di innesto e la buona adattabilità a diverse tipologie di terreno. Trapiantare in letti rialzati di coltivazione (baula - foto sopra), che creano un franco di coltivazione e proteggono l'apparato radicale da una serie di traumi. Tenere presenti inoltre gli aspetti ambientali, la gestione delle infestanti (con mezzi meccanici o per mezzo della pacciamatura) rispettando la biodiversità, l'orientamento delle piante nord-sud, il numero di piante per ettaro (alta densità), la tecnica della cimatura, la gestione delle risorse idriche".



Vitelli ha colto inoltre l'occasione per parlare del progetto "Melotto" (cfr. FreshPlaza del 03/02/2015), che ambisce a diventare un brand commerciale per un kaki di eccellenza, tutto italiano. Un marchio che identifica un percorso di qualità che parte dal campo e termina con un prodotto, la cui tracciabilità sarà garantita da un bollino, codificato, apposto su ogni frutto.

Il percorso Melotto sarà composto da un'unità produttiva e una commerciale. "L'impegno che si richiede al produttore - ha spiegato Vitelli - è quello di ricevere quattro visite tecniche annuali e produrre seguendo le indicazioni del protocollo tecnico di produzione; l'unità commerciale, invece, dovrà essere dotata di sistemi e apparecchiature per lavorazione, confezionamento e frigoconservazione dei frutti, e celle di detannizzazione. L'obiettivo è quello di creare una sorta di famiglia a livello nazionale, dove le unità produttive conferiscono a quelle commerciali, che a loro volta daranno un'identità a ogni singolo frutto (bollinatura)".

"Al consumatore - ha concluso Vitelli - è data così l'idea di un prodotto italiano, tracciato e che proviene dalle regioni che hanno partecipato al progetto".

Contatti:
Dott. Vito Vitelli
CONSORZIO VIVAISTI LUCANI
Via Enrico Mattei, 28
75020 Scanzano Jonico (MT)
Tel./Fax: (+39) 0835 954775
Cell.: (+39) 339 2511629
Email: [email protected]
Web: www.covilvivai.com
Blog: vitovitelli.blogspot.it