Agricoltori anello debole: l'Europa pensa a una legge per tutelarli
L'obiettivo è quello di limitare la sproporzione di potere contrattuale esistente tra i produttori agricoli e i soggetti, diversi dai consumatori finali, cui i prodotti vengono ceduti.
In Italia, secondo una rilevazione relativamente recente dell'ISMEA, l'esistenza di tale sproporzione viene indirettamente confermata dal dato secondo cui la percentuale del prezzo finale pagata dal consumatore per remunerare l'agricoltore che ha prodotto il bene acquistato non supera il 14%.
In materia si è pronunciato anche il Comitato Economico e Sociale Europeo (CESE), il cui parere è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale europea il febbraio scorso.
Chiediamo all'avvocato Gualtiero Roveda, consulente di Fruitimprese, chiarimenti in proposito.
Gualtiero Roveda (GR): Il Comitato Economico e Sociale Europeo, nella sua funzione di organo consultivo dell'Unione europea, ha evidenziato la necessità di rimediare alla posizione di debolezza dei soggetti più vulnerabili della filiera alimentare ponendo fine alle pratiche commerciali sleali delle aziende al dettaglio e di alcune imprese transnazionali, che aumentano il rischio e l'incertezza per tutti gli operatori.
Secondo il Comitato, è necessario adottare una normativa quadro, a livello dell'UE, per garantire che i fornitori, e in particolare gli agricoltori, ricevano un prezzo non inferiore al costo di produzione e per vietare in modo efficace la vendita sottocosto da parte delle aziende alimentari al dettaglio.
FreshPlaza (FP): Il Comitato ha anche invitato la Commissione e gli Stati membri a intraprendere azioni per prevenire le pratiche commerciali sleali?
GR: Sì, è stata sollecitata l'istituzione di una rete di autorità di contrasto, armonizzata al livello dell'UE, in modo da creare condizioni di parità nel mercato unico.
FP: Ma cosa si intende, sotto il profilo tecnico, per pratiche commerciali sleali?
GR: In termini generali, possono essere definite tali quelle pratiche che si discostano ampiamente dalla buona condotta commerciale, sono in contrasto con la buona fede e la correttezza e sono imposte unilateralmente da un partner commerciale all'altro.
FP: Va da sé che le condotte sleali sono messe in atto quando vi è disparità di potere contrattuale.
GR: E' così. La concentrazione del potere di mercato tra un numero ridotto di gruppi multinazionali crea uno squilibrio dannoso per gli agricoltori e le PMI. Le disuguaglianze nelle relazioni commerciali devono trovare correttivi nella legge.
FP: Quali sono i comportamenti considerati critici?
GR: L'elenco è lungo: ritardi nei pagamenti; accesso limitato al mercato; modifiche unilaterali delle condizioni contrattuali, anche con effetto retroattivo; informazioni non sufficientemente dettagliate o formulate in modo ambiguo in merito alle condizioni contrattuali; rifiuto di sottoscrivere contratti scritti; risoluzione improvvisa e ingiustificata del contratto; trasferimento sleale del rischio commerciale; richiesta di pagare beni o servizi privi di valore per una delle parti contrattuali; riscossione di pagamenti per servizi fittizi; trasferimento dei costi di trasporto e stoccaggio ai fornitori; imposizione di promozioni, pagamenti per l'esposizione della merce in vista e altri pagamenti aggiuntivi; trasferimento dei costi delle promozioni nei locali commerciali ai fornitori; restituzione incondizionata e obbligatoria della merce invenduta; pressioni volte a ridurre i prezzi della merce; impossibilità per i contraenti di rifornirsi in altri Stati membri.
FP: L'Italia è, però, già intervenuta in materia con l'art. 62. Funziona?
GR: Non molto. Il Regolamento di attuazione dell'art. 62 del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1 ha stabilito che rientrano nella definizione di "condotta commerciale sleale" il mancato rispetto dei principi di buone prassi e le pratiche sleali identificate nel 2011dalla Commissione europea e dai rappresentanti della filiera agro-alimentare a livello comunitario.
In base al Regolamento è vietato qualsiasi comportamento del contraente che, abusando della propria maggior forza commerciale, imponga condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose. La normativa non pare, però, particolarmente efficace. Ad esempio, le assicurazioni per il credito rilevano che, nonostante la legge imponga un termine massimo di pagamento nel settore alimentare di 30 giorni per le merci deperibili e di 60 giorni per i prodotti non deperibili, i pagamenti sono mediamente di circa 90 giorni.