Nel profondo buio della castanicoltura italiana, piccoli spiragli di luce solo in aree limitate
Piemonte
In qualche area, spiegano da Confagricoltura Cuneo, "le prospettive sono migliori rispetto agli ultimi anni. Nelle vallate del Mongalese la produzione è in generale aumento, sia in aree pedemontane che in aree localizzate ad altitudini più elevate. Ma si tratta di una situazione a macchia di leopardo perché spostandoci verso Cuneo e Saluzzo le rese sono in netto calo. La buona notizia viene dal versante della lotta al cinipide galligeno (la vespa cinese del castagno, che negli ultimi 12 anni ha falcidiato le produzioni, NdR), con una diminuzione considerevole dei danni alle piante."
"Il mal comune di tutti i castagneti in provincia di Cuneo – conclude l'organizzazione agricola – si chiama tuttavia invecchiamento, sia delle piante che degli addetti. Nel primo caso va incentivata la sostituzione delle vecchie piante con nuovi innesti di varietà autoctone. Nel secondo invece il rischio di un mancato ricambio generazionale è che si abbandonino i castagneti nelle aree più marginali."
Toscana
Qui, denuncia Coldiretti Toscana, il danno per la mancata vendita di castagne potrebbe aggirarsi tra i 40 e i 50 milioni di euro. "Piogge, condizioni climatiche molto sfavorevoli e cinipide galligeno – spiegano dalla federazione regionale di Coldiretti – ridurranno fino al 90% la raccolta, che scenderà quest'anno al minimo storico, ben al di sotto delle 24.000 tonnellate." In passato la Toscana era leader italiano nella castanicoltura, tant'è che qui si contano ben 3 varietà a riconoscimento europeo Dop e Igp (Marrone del Mugello Igp, Marrone di Caprese Michelangelo Dop, Castagna del Monte Amiata Igp) cui si aggiungono due Dop di prodotti trasformati: la Farina della Lunigiana e quella di Neccio della Garfagnana. Da anni, tuttavia, il primato toscano è stato scalzato da Campania e Calabria.
Quest'anno la mancata vendita del prodotto, riprendono da Coldiretti Toscana, "produrrà un danno alla filiera con diverse migliaia di posti di lavoro che non potranno essere creati e con molte aziende che non riusciranno a produrre il reddito minimo indispensabile per sopravvivere. Nel Mugello il danno all'Igp è nell'ordine di 8/10 milioni di euro". "Per molte delle 100 aziende che aderiscono al Consorzio – spiega Emanuele Piani, Presidente del Consorzio del Marrone del Mugello Igp – questa sarà la seconda, se non la terza stagione senza raccolto. Resteranno chiusi i 3 centri di confezionamento e commercializzazione del Consorzio con ripercussioni su tutta la filiera. Il rischio è l'abbandono dei castagneti."
Italia
La situazione dipinta dalle organizzazioni agricole "rispecchia effettivamente il quadro italiano," spiega Luigi Vezzalini, responsabile del coordinamento tecnico dell'Associazione Nazionale Città del Castagno.
"A causa delle piogge – continua - ci sono stati problemi di allegagione e molti frutti hanno subito una cascola anticipata e dentro ai ricci non c'era alcun frutto sviluppato. In molti casi i frutti si presentano grossi, apparentemente belli, ma quando li apri sono neri e marci. Molto è dovuto al clima che ha favorito attacchi fungini; questo ha messo in secondo piano la vespa cinese del castagno, comparsa nel 2002 in Piemonte e che già nei primi anni aveva causato un calo di produzione dell'80-90%. Quest'anno, nonostante la presenza della vespa, abbiamo visto che le piante sono state colpite di meno, ma restano tutti gli altri problemi."
La lotta alla vespa cinese
Per affrontare il problema dell'insetto parassita vespa cinese del castagno è nato nel 2013 un progetto di lotta biologica (Bioinfocast), finanziato dal Mipaaf e curato dai servizi fitosanitari regionali, dall'Università di Torino e dall'ATS (associazione temporanea di scopo) formata da Associazione Nazionale Città del Castagno, Centro di Studi e Documentazione sul Castagno e Rete Europea del Castagno. Il progetto prevede dei lanci di un antagonista della vespa cinese, il Torymus sinensis, un imenottero.
Il lancio del Torymus sinesis, antagonista della vespa cinese del castagno
"Nel 2013 – conclude Vezzalini – abbiamo effettuati 500 lanci. Nel 2014 sono raddoppiati arrivando a 1.010 lanci 'ufficiali', cui sono da aggiungere anche quelli effettuati da privati. Ipotizziamo che, oltre a quelli del programma ministeriale, ci siano stati altri 2.000 lanci. Tutto il territorio nazionale è coperto e i risultati sono ottimi: in Piemonte la produzione è in ripresa perché è stato raggiunto l'equilibrio tra la vespa cinese e il suo antagonista. Nelle altre regioni ci stiamo arrivando, mentre il cinipide si sposta da Nord a Sud."
Da Re a Cenerentola
La situazione di tracollo produttivo ha spalancato le porte dell'Italia alle castagne straniere: Spagna, Grecia, Turchia, Romania ed Est Europa in primis. Coldiretti Toscana parla di "una possibilità del 50% di trovarci nel piatto, senza saperlo, castagne straniere provenienti soprattutto dalla Spagna, dal Portogallo, dalla Turchia e dalla Slovenia".
Nel 2013 (fonte Istat su elaborazione Coldiretti, cfr. anche articolo FreshPlaza del 25/02/2014) le importazioni erano praticamente raddoppiate rispetto all'anno precedente e quasi quadruplicate rispetto al 2011. Tra i paesi d'origine delle castagne importate nel 2013 figurava in testa la Spagna, con più di 10.200 tonnellate; seguivano il Portogallo e l'Albania con rispettivamente 6.900 e 3.200 tonnellate importate.
"Il nostro Paese è diventato un importatore netto, da grande esportatore che era: avevamo buoni mercati, ora costretti pure loro a rifornirsi dall'Est, che offrono frutti con una polpa assolutamente non paragonabile alla qualità italiana! Oggi importiamo tra il 70 e l'80% da Spagna, Albania, Romania, Turchia, Est Europa, perfino dalla Grecia. E dire che un secolo fa eravamo noi i leader mondiali nell'esportazione." A parlare è il professor Elvio Bellini, presidente del Centro Studi e Documentazione sul Castagno.
Oggi (dati FAO) il principale produttore di castagne al mondo è la Cina, seguita dalla Corea, dalla Turchia e dalla Bolivia. Diversa la classifica se si considera la resa produttiva: al vertice la Romania, seguita in ordine dalla Cina, dal Perù e dalla Slovenia.
"Oggi – riprende Bellini - siamo delle cenerentole. A fine anni '90 si producevano in tutta la penisola 60.000 tonnellate di castagne ma nei primi del '900 eravamo a quota 8 milioni, leader mondiali; la Toscana da sola ne faceva 4 milioni di tonnellate e aveva le superfici maggiori, ma ormai è stato tutto in gran parte abbandonato." Ora il maggiore produttore italiano è la Campania, seguita dalla Calabria (insieme coprono il 70% della produzione nazionale); seguono Lazio e Toscana a pari merito, poi il Piemonte per una castanicoltura diffusa un po' in tutta la penisola.
Sono vespa cinese e meteo i veri problemi della castanicoltura italiana?
Bellini non ne è convinto. "Il meteo – commenta - è imprevedibile e con la vespa cinese possiamo convivere. Il fatto è che anche se fossimo sui livelli produttivi di prima dell'arrivo della vespa saremmo comunque a un decimo della produzione di un secolo fa. La verità è che stiamo abbandonando la castanicoltura."
Il presidente del Centro Studi ricorre a una metafora medica: "Immaginate di essere un dottore: abbandonereste mai un malato? No, proprio perché è malato e per questo va curato. Ebbene, con la castanicoltura sta avvenendo l'opposto: gli alberi sono malati e noi li abbandoniamo. Ai produttori dico non abbandoniamo il castagno proprio ora che è in crisi. Servono coraggio, interventi agronomici come le potature e il reintegro con elementi nutrienti: il castagno è stanco e questo è il risultato dell'abbandono."
Insomma, per Bellini quello che serve per un rilancio del settore è una rivoluzione culturale e agronomica: "Siamo troppo legati alla vecchia castanicoltura – chiude - con alberi a grande fusto nei boschi; se vogliamo reggere la concorrenza straniera dobbiamo arrivare a una nuova castanicoltura, più moderna, come si trattasse di un pereto o di un meleto, come già fanno in Cina e Giappone. Dobbiamo passare dall'essere dei raccoglitori di castagne come siamo oggi a frutticoltori, il che significa conoscere le piante e ammodernare le tecniche di coltivazione."