Radicchio Rosso di Treviso: un marchio privato per tutelare e valorizzare il radicchio di Treviso Igp
Denis Susanna, direttore del Consorzio di Tutela Radicchio Rosso di Treviso Igp e Variegato di Castelfranco Igp, qui a Venezia per il ventennale della denominazione del radicchio tardivo trevigiano.
Si trattava dunque di fake, un capitolo già noto di quell'Italian sounding che fa gola a molti, pronti a sfruttare il nome blasonato della tipicità italiana di turno senza averne né i diritti, né tanto meno le caratteristiche. E, nel caso specifico del tardivo di Treviso Igp, parliamo di un prodotto che certamente non si è fatto, come nella realtà, le due gelate invernali che sanciscono l'inizio della raccolta, non è stato lavorato a mano, e certamente non è stato sottoposto ai non meno di 20 giorni di 'imbiancamento' nelle acque a temperatura costante del Sile, il fiume di risorgiva più lungo d'Europa. "Non è una novità. Abbiamo visto casi simili in America, ma anche in Australia. Molto spesso si tratta di radicchi che non si avvicinano al nostro nemmeno nella forma; spesso sono Italiani trapiantati all'estero a proporre questi falsi, spacciando per trevigiani dei radicchi coltivati in loco", spiega Susanna.
Franchetto, dell'omonima azienda agricola a Quinto di Treviso. Per il ventennale dell'Igp ha aperto le porte della sua azienda per mostrare come si 'crea' il Radicchio di Treviso. Sullo sfondo, un campo di radicchio rosso tardivo.
Che si tratti di un danno - oltre che d'immagine - anche economico, non ci piove. Purtroppo, riprende il direttore, "se questo accadesse nei confini dell'Unione Europea, l'Igp ci permetterebbe di intervenire (attraverso una segnalazione al relativo servizio repressione frodi del paese, dove si è verificata l'appropriazione indebita del nome, ndr), come c'è già successo in Germania e in Olanda; fuori è tutto lasciato agli accordi bilaterali stato-stato" (leggasi poca roba): "Siamo piccolini", chiosa Susanna, paragonandosi a più blasonate tipicità italiane. Per quanto di qualità e di fascia alta, parliamo ancora comunque di un prodotto di nicchia.
Per diventare Tardivo di Treviso Igp, il radicchio rosso deve passare anche più di 20 giorni di 'imbiancamento' (nella foto), in ammollo nelle acque del Sile.
Negli ultimi anni, produzione e superfici dedicate al radicchio tardivo di Treviso Igp sono in crescita. Tra tardivo e precoce di Treviso e variegato di Castelfranco (tutte denominazioni d'origine tutelate dal Consorzio di tutela del Radicchio Rosso di Treviso Igp e del Radicchio Variegato di Castelfranco Igp) quest'anno gli 89 soci del Consorzio hanno messo a dimora quasi 500 ettari.
La maggior parte delle operazioni legate alla produzione del radicchio tardivo di Treviso Igp sono effettuate manualmente.
La quota maggiore è certamente per il tardivo, che, rispetto alla stagione passata, è cresciuto nelle superfici del 22%. Anche la produzione è aumentata negli anni e, tra i tre radicchi, il volume si attesta a mille ton annue, mentre per questa stagione si parla di un aumento di produzione di oltre il 20%, in base a come evolverà la stagione. A conti fatti, i tre radicchi rappresentano il 10% di tutti i radicchi coltivati nell'area tra le provincie venete di Treviso, Venezia e Padova.
Un momento di lavorazione di quello che sarà un radicchio tardivo di Treviso Igp.
Ma, al netto della dimensione della produzione, il danno causato da chi spaccia il proprio radicchio per il trevigiano a denominazione d'origine rimane e, anzi, è destinato ad aumentare di pari passo con l'aumento del consumo. Come correre ai ripari?
Se per una parte degli associati del consorzio la via da intraprendere è quella del passaggio dal'Igp alla Dop (cfr. FreshPlaza del 16/11/2016), la strada maestra sembra essere un'altra: "Abbiamo avviato l'iter per registrare un marchio collettivo privato, con un interesse verso un'area (quella prevista dal disciplinare, ndr)", chiosa il direttore del consorzio di tutela.
Il nome in corso di registrazione è Radicchio Rosso di Treviso, con cui marchiare la produzione Igp. Entro l'anno è attesa la registrazione per l'Italia e l'Europa, mentre successivamente avverrà anche in alcuni mercati extra-UE, quelli cioè appetibili per l'export, che oggi assorbe il 10% della produzione: Svizzera, Russia, Australia e Stati Uniti in primis.
Un momento della lavorazione, tutta rigorosamente manuale.
Ma se sul fronte della tutela la via è quella del marchio registrato, sul fronte del prodotto la direzione presa dai produttori di radicchio tardivo di Treviso Igp e dal Consorzio è quella della qualità. Da un lato "conquistare il mercato italiano ed estero significa conquistare la Gdo, il che significa non proporre più un prodotto sfuso, ma confezionato, in nuovi pack e con gli standard di qualità che ci chiede la grande distribuzione", spiega Susanna.
Durante la lavorazione del tardivo di Treviso Igp viene scartato fino al 70% di quello che era stato raccolto in campo.
Proprio in quest'ottica è da leggere ad esempio la rivoluzione portata avanti dai confezionatori di radicchio trevigiano negli ultimi 2/3 anni: lo sfuso è stato abbandonato, com'è stata abbandonata la vecchia cassetta di legno, sostituita per la maggior parte dei volumi da confezioni più piccole come le vaschette, sigillate e più curate (anche per poter veicolare più informazioni). "Ora non ti porti più a casa un prodotto anonimo, ma un nome", chiosa il direttore del Consorzio.
Ultimi passaggi in acqua prima del confezionamento.
Dall'altro lato, sulla qualità si punta anche attraverso la ricerca; e negli ultimi tempi produttori e Consorzio hanno dato il via a un importante progetto di ricerca insieme al DAFNE (Dipartimento di Agronomia, Animali, Alimenti, Risorse Naturali e Ambiente) dell'Università di Padova per lo sviluppo di una tecnologia a infrarossi, derivata dal NIR già usata per altri prodotti ortofrutticoli, per individuare le piante più amare e quindi scartarle, perché il tardivo di Treviso è noto per la sua nota amarognola non eccessiva.
Questo progetto diventa sempre più importante in un'ottica di climate change: "Il radicchio – conclude Susanna – ha bisogno di freddo e, negli ultimi anni, l'innalzarsi delle temperature ha influito sul prodotto: la pianta subisce questo stress da temperatura e, in alcuni casi, vira sull'acido", per quanto il numero delle piante così colpito sia limitato: nel momento di massimo stress registrato in inverno, un paio di anni fa, il numero di piante acide oltre allo standard del trevigiano tardivo si aggirava tra il 2 e il 3 per mille.