Di recente Corrado Vigo, agronomo specializzato in agrumi e tecnico della "Commissione Agrumi" di Bruxelles, ha appurato - durante un sopralluogo in un'azienda agricola - quanto siano in forte aumento gli agrumeti in stato di abbandono nella piana di Catania.
Quali le cause degli agrumeti abbandonati?
"In primo luogo
il consistente e continuo calo dei prezzi di vendita delle produzioni, nonostante un generale, continuo e spesso marcato innalzamento delle quotazioni al consumatore - sottolinea Vigo sul suo
blog - Notiamo, infatti, che, tranne nei periodi di
promozioni, i prezzi di vendita delle arance siciliane sono elevati, e spesso rasentano livelli esorbitanti, tanto che il consumatore è scoraggiato all'acquisto, e ne vengono ridotti conseguentemente anche i volumi di vendita".
Secondo il tecnico, la costante riduzione dei prezzi riconosciuti ai produttori fa sì che vengano ridotte le normali operazioni colturali, quali la potatura e le concimazioni, con la diretta conseguenza di una riduzione dei quantitativi prodotti ad ettaro. "Ma soprattutto, è la qualità a soffrirne maggiormente" aggiunge Vigo.
Altro gravissimo problema dell'abbandono degli agrumeti è la diffusione a tappeto del Citrus tristeza virus, che ormai non ha più confini e che azzera ogni reddito degli agrumicoltori. "Dal momento in cui avviene l'infezione - spiega - inizia un lento e inesorabile calo delle quantità prodotte, ma anche della pezzatura dei frutti, tanto da far andare in passivo il bilancio aziendale. In questo modo, gli agricoltori abbandonano i loro terreni".
Ma le domande da porsi sono diverse. I siciliani hanno veramente idea di cosa stia succedendo all'agrumicoltura regionale a causa della Tristeza? E' stato fatto tutto quello che doveva farsi per contenere il fenomeno? C'è in atto qualche intervento risolutivo? "Una sola risposta alle tre domande: No" sottolinea Vigo.
I costi di produzione sono un altro grande problema che inevitabilmente porta all'abbandono degli agrumeti. "Riguardo a questo elemento, si deve fare un distinguo: i costi di produzione veri e propri e quelli derivanti dalla tassazione".
Perché ci si lamenta tanto dei costi di produzione?
"Innanzitutto i fertilizzanti, qualunque essi siano, costano mediamente il 25-30% in più rispetto al nostro maggiore competitor, ovvero la Spagna. Poi il costo dei prodotti fitosanitari: anche in questo caso i prezzi di qualunque formulato commerciale sono sproporzionati rispetto all'utilizzo dei vari principi attivi contenuti. Da aggiungersi l'energia elettrica: il costo per Kwh finale oscilla fra i 25 ed i 33 centesimi di euro, a seconda del contratto stipulato con i vari operatori, mentre lo stesso costo spagnolo non supera i 13-15 centesimi di euro a Kwh".
Vigo poi considera il costo degli operai (da 50 a 65 euro/giorno). Alla manodopera si deve aggiungere il costo relativo alla previdenza e all'assistenza, all'incirca 11-12 euro/giorno. Dai primi anni del 2000, poi, i datori di lavoro sono stati gravati del costo delle ritenute, un tempo a carico dei lavoratori, che incidono per circa 12 euro/giorno. "Così un operaio costa circa 70-85 euro/giorno, a fronte di un operaio spagnolo che costa, tasse comprese, 50-55 euro/giorno".
Il gasolio agricolo, di tipo agevolato, è quello che incide di meno; anche in questo caso, però, la Spagna ci batte pagando un 10-12% in meno. Sono da calcolare pure i costi relativi alla sicurezza, che vanno dalle visite mediche per ogni operaio da assumere, ai dispositivi di protezione individuale. "Chi non dispone di fonte irrigua propria, inoltre, deve acquistare l'acqua: elemento essenziale per la produzione degli agrumi - sostiene il tecnico - che sono una coltura ad alto consumo idrico". Alcuni acquistano da pozzi privati, o mini consorzi irrigui, l'acqua per irrigare, al costo che oscilla da 20 a 35 euro/ora; altri la acquistano dai Consorzi di Bonifica, e quando arriva è troppo cara. Basti pensare che in alcune contrade del lentinese, per effetto di vari sollevamenti, il costo è lievitato negli ultimi sei-sette anni da 250 a ben 750 euro/ha. A tutto ciò, poi, si aggiungano i danni derivanti da furti di mezzi e attrezzature, ma anche di prodotti.
Altro costo insostenibile è quello relativo alla tassazione
Vigo aggiunge che la valutazione catastale degli agrumeti è più che quintuplicata rispetto ai valori di mercato attuali. "Infatti, se da un lato un agrumeto da reimpiantare attualmente possiede un valore oscillante fra 15.000 e 22.000 euro/ha - valore che si innalza fino a non oltre 35-40.000 euro/ettaro per agrumeto di giovane impianto e con portainnesti tolleranti al virus della Tristeza - dall'altro lato l'Agenzia delle Entrate valuta gli agrumeti con valori oscillanti fra 75 e 105.000 euro/ha".
Da quei valori catastali folli scaturiscono diverse imposizioni fiscali e tributi.
Ad esempio: l'IMU calcolata sul valore catastale sopra indicato oscilla fra 500 e 700 euro/ha, ma anche i tributi consortili (quelli relativi al funzionamento generale, e non quelli sulla somministrazione irrigua) vanno di pari passo all'IMU, con importi oscillanti fra 80 e 120 euro/ha. A queste tasse e tributi vanno aggiunti quelli dell'IRES e dell'IRAP.
"Per ogni ettaro di agrumeto, qualunque sia il fatturato conseguito, la tassazione oscilla quindi fra 700 e 1.200 euro per ettaro. Come dire che occorrono circa 6 tonnellate di arance (al prezzo di 0,20 euro/kg) per pagare questi tributi".
Cosa è mancato, principalmente, all'agrumicoltura siciliana?
Vigo elenca una serie di punti:
- una politica regionale che credesse davvero alla coltivazione degli agrumi;
- una concentrazione dell'offerta, che lasciasse da parte ogni personalismo commerciale, in favore di un marchio unico;
- una riduzione generalizzata dei costi, atta a favorire la concorrenza nei Paesi terzi, ma anche all'interno del mercato nazionale;
- una promozione istituzionale atta a favorire il consumo degli agrumi, sia allo stato fresco, che come succhi e loro derivati;
- un'innovazione varietale mirata a esaltare le peculiarità di alcune microzone, sia quelle precoci, che quelle tardive;
- una programmazione economica che consentisse il ricambio varietale, tenendo conto e prevenendo le problematiche della Tristeza degli agrumi;
- una concreta gestione delle acque irrigue, per favorirne la maggiore distribuzione, e un calo dei prezzi.
"Nell'ultimo ventennio abbiamo assistito, invece, a una guerra interna fra operatori commerciali, che sgomitando fra di loro hanno occupato alcuni spazi a scaffale, in quelle stesse catene che, poi, spesso li hanno costretti a vendere sottocosto. Tutto ciò a discapito della produzione, che si è vista calare i prezzi medi di vendita, a fronte di uno smisurato aumento dei costi di produzione".
Ancora un'ultima nota negativa. "Negli ultimi venti anni, inoltre, abbiamo registrato un costante calo del mercato fondiario - conclude - con valori/ettaro spesso ben al di sotto del costo degli investimenti stessi, ma probabilmente pilotato per favorire delle acquisizioni a buon mercato".