Sono scattati lo scorso venerdì 18 ottobre i dazi punitivi Usa imposti sulle esportazioni dall'Unione Europea. A essere colpiti non sono soltanto i prodotti italiani, ma anche quelli europei, in particolar modo di Francia e Germania, per un totale di 7,5 milioni di dollari.
Inutili anche gli ultimi tentativi di mediazione del Presidente italiano Mattarella, recatosi dal presidente Trump per cercare di bloccare l’introduzione delle suddette imposte che porteranno un rincaro del 25% anche per alcuni prodotti del comparto agroalimentare europeo (prendiamo l'esempio del Parmigiano: il formaggio DOP, dalla mezzanotte di venerdì 18 ottobre, è passato da 40 a 45 dollari al chilo).
Per quanto riguarda l’ortofrutta italiana, invece, a essere tassati non saranno soltanto clementine, arance, pompelmi, mandarini, limoni e pere, primizie che attualmente iniziano ad affacciarsi sui bancali dei nostri supermercati, ma anche ciliegie, pesche, macedonie allo sciroppo e alcuni succhi di frutta, facendo così dei mercati americani, una meta sempre più lontana e difficile per negoziare.
Tra i prodotti italiani maggiormente interessati dai cancelli tariffari figurano gli agrumi. I dazi colpiranno pertanto gli agrumicoltori, categoria di produttori già penalizzata dall'accordo bilaterale con la Cina che, per il momento, apre le porte solo alle arance rosse.
L’Italia, ogni anno, trasferisce in Usa circa 380 ton di uva e 200 di arance. Quantitativi non molto interessanti. Molte sono le imprese agricole, infatti, che preferiscono non esportare nel territorio americano per una serie di fattori: mercato troppo distante, difficoltà di conservazione e integrità del prodotto durante il viaggio, particolari esigenze in termini di qualità e di prezzi dei buyer statunitensi.
In un territorio ampio e dinamico come quello degli Stati Uniti, può risultare difficile spuntare prezzi di vendita più alti, si rischia automaticamente di rimanere fuori dal mercato.