"Nel generale disastro che ha colpito l'Emilia Romagna, è assolutamente giusto che l'emergenza dell'oggi ponga la priorità sulle persone e sulle loro case, sul ripristino delle linee elettriche e telefoniche, sulle attività commerciali, sugli stabilimenti industriali, sulla viabilità".
Lo afferma Renzo Panzacchi, portavoce dell'Associazione Consorzi Castanicoltori Appennino Emilia-Romagna, aggiungendo: "Tuttavia riteniamo che non debbano passare sotto silenzio i gravissimi danni strutturali subiti dai castagneti da frutto dell'Appennino, quelli che producono il pregiatissimo Marrone".
Interi castagneti, anche secolari, sono letteralmente scivolati a valle, verso il letto dei torrenti, spostandosi anche per centinaia di metri e andando ad occupare terreni precedentemente dedicati ad altre coltivazioni, alcuni, travolti dalle frane, sono persi per sempre, altri ancora sono danneggiati da frane e smottamenti. Impossibile per ora lo svolgimento delle necessarie attività colturali e a rischio, in prospettiva, quelle della eventuale raccolta.
"Ad oggi è ancora impossibile quantificare i danni strutturali ai castagneti, così come è ancora impossibile misurare quanti ettari coltivati a marrone siano andati perduti. Occorreranno ancora varie settimane. E' invece purtroppo certa l'evidenza di trovarci di fronte ad un disastro di portata epocale, e tale da mettere davvero in discussione il futuro della castanicoltura di una gran parte dell'Appennino".
I danni più gravi si sono avuti nella provincia di Forlì-Cesena lungo la valle del Senio, nella provincia di Ravenna lungo la valle del Savio. E poi nella valle del Santerno, che interessa tutto il comprensorio del Marrone IGP di Castel del Rio e, anche se in misura minore, nell'area dell'Appennino Bolognese, tra la valle dell'Idice fino alla valle del Samoggia. Pochi danni nel Modenese e nel Reggiano.
In Appennino è stata sconvolta la rete viaria, tanto che molte persone e località sono ancora isolate e rifornite con gli elicotteri, ma è stata completamente stravolta anche la viabilità forestale, quella che permetteva di raggiungere i castagneti, in genere collocati nelle zone più impervie. Intere aree sono irraggiungibili e lo rimarranno a lungo.
"Ho parlato personalmente con decine di produttori che, in mancanza dei necessari sostegni pubblici, sono rassegnati ad abbandonare i loro castagneti da frutto. Il rischio per i castagneti dell'Appennino è che l'agricoltura di montagna passi in secondo piano, che diventi un problema di serie B, con il rischio che molti agricoltori decidano di abbandonare l'Appennino, abbandonando così anche le abituali cure del territorio, con tutte le inevitabili future conseguenze".
"Se la pubblica amministrazione non comprenderà che i castanicoltori, nello svolgimento della loro attività, sono i veri custodi dei territori di montagna, episodi violenti come quello che stiamo vivendo non potranno che ripetersi. E non sarà colpa del cambiamento climatico".
"A tal proposito i castanicoltori vogliono sottolineare che, se è vero che la portata degli eventi accaduti può essere definita "storica", è altrettanto vero che non ci si può sempre e solamente nascondere dietro l'alibi del cambiamento climatico. Da anni il cambiamento climatico, che è peraltro innegabile, si prende la colpa di qualsiasi cosa accada in natura, a prescindere. Ma se si vuole trattare l'argomento con serietà, occorre andare alla ricerca delle cause e delle responsabilità, che ci sono".
I castanicoltori della regione Emilia-Romagna ritengono che il fragile territorio dell'Appennino sia stato troppo a lungo trascurato dalle istituzioni preposte, creando le condizioni per la tempesta perfetta, che è puntualmente arrivata. Era solo questione di tempo.
"Mi riferisco alla mancata pulizia delle scoline laterali delle strade comunali e provinciali, che negli anni si sono riempite di detriti e rifiuti, impedendo il regolare deflusso delle acque; mi riferisco alla mancata pulizia dei tombini di raccolta delle acque piovane lungo le strade, spesso intasati da rami e detriti di ogni genere; mi riferisco infine alla mancata pulizia del letto di scorrimento di rii e torrenti, dove crescono indisturbati alberi e cespugli che trattengono rami rotti e tronchi secchi, creando vere e proprie dighe che poi cedono sotto la spinta dell'acqua, portando a valle migliaia di tonnellate di fango e detriti che provocano le esondazioni".
"E di tutto questo non ha certamente colpa il cambiamento climatico, bensì le competenti autorità amministrative. E' noto che le risorse pubbliche sono scarse, ma è anche vero che le normative vigenti in materia di cura del territorio e degli ambiti forestali hanno letteralmente paralizzato il sistema".
"Da venti o venticinque anni abbiamo tutti ascoltato molte chiacchiere sulla semplificazione delle procedure burocratiche e amministrative per la gestione del territorio montano, ma non abbiamo visto molti fatti. Credo che se il disastro biblico che è avvenuto non riuscirà a modificare questa situazione, l'Appennino sarà definitivamente condannato".
"Il secondo tema, che è peraltro strettamente legato al primo, riguarda l'atteggiamento ideologico e talebano con cui l'apparato amministrativo guarda all'ambiente dell'Appennino. Occorre il coraggio politico di riconoscere che qualcuno si è sbagliato; occorre farlo, per non continuare a sbagliare".
"Le decisioni che riguardano l'eventuale rimozione di un albero dall'alveo di un torrente le deve poter prendere chi vive e abita quel luogo, non il burocrate di turno, non qualcuno che è laureato in archeologia o in filosofia o scienze politiche e che di agricoltura semplicemente non sa".
"E non possiamo dimenticarci della stratificazione di regolamenti e di leggi emanate da una miriade di enti e istituzioni quali l'Europa, lo Stato, le Regioni, le Province, fino ad arrivare ai Comuni e alle Unioni di comuni i cui funzionari, anch'essi talvolta confusi dall'eccesso di norme, le interpretano in maniera personale e restrittiva, impedendo o negando agli agricoltori della montagna la possibilità di intervenire tempestivamente e preventivamente per risolvere minacce di criticità. E ignorare tali norme intervenendo con il semplice buonsenso o l'esperienza, significa subire una denuncia penale".
"Siamo di fronte a un disastro di portata tale da mettere davvero in discussione il futuro della castanicoltura di una parte dell'Appennino e molti produttori, in mancanza dei necessari sostegni pubblici, sono rassegnati ad abbandonare i loro castagneti. Ci auguriamo che il comparto della castanicoltura da frutto possa ora ricevere la giusta priorità e non finisca di nuovo nell'oblio da cui è riuscito faticosamente a uscire negli ultimi quindici anni".