Periodo di ferie, tavolate tra amici, brindisi, risate e facezie fino a quando la "Lory", implacabile, ti guarda, punta il dito e ti dice: "Ma perché la frutta non sa più di niente"? E lo dice con l'ingenuità di un bambino senza sapere di aver lanciato lo strale più velenoso che potesse! Ebbene, al momento ho incassato il colpo obtorto collo senza replicare, o comunque dilungarmi in noiose e filosofiche repliche, ma la domanda mi ha torturato tutta la serata, notte compresa.
Che sia un problema di evoluzione e cambi varietali tesi a salvaguardare più la resa e la tenuta piuttosto che il gusto, sinceramente mi sento in linea generale di escluderlo, stante anzi la rincorsa a salvaguardare tanti vecchi presidi produttivi rilanciandoli con tutto quel marketing che vent'anni fa non c'era. Si pensi ad esempio al ritorno di fiamma dell'albicocca Pellecchiella dall'area del Vesuvio, le prugne Ramassin dal regno del Piemonte, le ciliegie del Trentino, il melone Francesino e l'uva Pizzutella laziali, la pesca di Bivona, e tanti altri esempi di regionalismi fortemente radicati e risorti grazie ai presidi locali che li hanno salvati da morte certa ed ottenebrata memoria.
Che sia in parte dovuto alle modalità gestionali della moderna distribuzione organizzata ed alle tempistiche di riordino, stock, smista e ventilazione unitamente alle necessità di esposizione e vendita dei mercati, di salvaguardia delle differenze inventariali, di mala gestione nell'ultimo anello della filiera? Potrebbe, in parte, esserlo, se si pensa che nella migliore delle ipotesi il prodotto arriva a banco non prima di 36-48 ore dalla raccolta (un AxA su Cedi quindi AxB su p.d.v.) e che un frutto "bello e maturo" avrebbe realmente una vita residua talmente breve da rischiare di non arrivare mai intonso sulla tavola dei clienti.
A ciò si aggiunga una possibile scarsa preparazione dei repartisti in termini di gestione e manipolazione del prodotto che peggiora gli immancabili deficit dell'area acquisti o dei fornitori, andando a ritroso sull'impervia via del gusto.
Occorre però dire, e questo è l'ultimo stadio della mie elucubrazioni notturne con l'ego colpito nell'orgoglio, che forse non è tanto la frutta a non essere più quella di una volta, quanto il fatto che non ci sono più i clienti di una volta! Ormai nella gran parte della popolazione è completamente scomparso il senso dell'agricoltura, la cultura della pianta, il touch del frutto, l'hand sensitive response, la capacità di scegliere in base alle proprie esigenze di consumo in maniera consapevole e autonoma.
Un grande della distribuzione moderna elogia, a buona ragione, la capacità, (ma a mio avviso parlerei più di possibilità gestionale), del fruttivendolo di quartiere di dialogare con il suo avventore, riconoscendone i bisogni e proponendogli il frutto che più si addice alle sue necessità, ma comunque, ritornando a quanto detto sopra, in sostituzione di una ormai estinta capacità selettiva. Mi chiedo: l'evoluzione della specie è veramente orientata verso un consumo agnostico e dobbiamo quindi rinunciare alla speranza di riportare il gusto tra le priorità dei vari attori della filiera?
Assolutamente e ovviamente NO! Continuare a proporre i migliori prodotti del territorio o di areali vocati e raccontarne quanto più possibile le caratteristiche, le peculiarità, i metodi produttivi, le ricettazioni, le scale di maturazione, i metodi di conservazione, è uno dei principali antidoti alla "ignorantia" da consumo. E sottolinea il senso etimologico della parola "ignorantia", ossia la mancanza di conoscenza e non una personale innata predisposizione alla maleducazione alimentare.
Ora che il concorso di colpa è accertato, con la consapevolezza che anche un'albicocca della varietà Ninfa o Grintos, se ben matura, è buona da mangiare, riprendo sonno con animo sollevato pur con la consapevolezza degli innumerevoli rischi che corre un imprudente buyer ortofrutta a cena con amici!
Giancarlo Amitrano
responsabile ufficio acquisti ortofrutta
catena Cedigros
(Rubrica num. 21)