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Calsa, Bel'Export, Peters Fruithandel e Paul Leegwater

Dieci anni dall'inizio dell'embargo russo: gli esportatori guardano al passato e al futuro

Il 7 agosto 2014, la Russia ha imposto l'embargo a tutti gli ortofrutticoli provenienti da Unione europea, Stati Uniti, Australia, Canada e Norvegia. Dieci anni dopo, facciamo il punto con alcuni esportatori. Cosa ricordano maggiormente e quanto è stato grande l'impatto? La Russia tornerà mai a essere un importante mercato di esportazione?

"Avevamo smesso di commercializzare con la Russia poco prima dell'inizio dell'embargo, quindi eravamo molto sollevati di non fare affari con il Paese in quel momento", racconta Bart Leegwater della società commerciale Paul Leegwater. "Per noi l'impatto è stato minore, ci aspettavamo una maggiore concorrenza da parte di altre nazioni, ma si è rivelata migliore del previsto".

Anche il commerciante di pomacee Paul Peters non aveva grossi importi in sospeso all'inizio dell'embargo. "Tuttavia, il nostro fatturato è diminuito. All'inizio l'impatto è sembrato enorme, ma dato che si sono riaperte altri canali verso i supermercati e altri Paesi, si è rivelato comunque un anno positivo per noi".


Kees e Paul Peters

Alla domanda sulla speranza che la Russia diventi un importante mercato di esportazione in futuro, Bart ha risposto: "Ci spero. Se alla fine ci saranno soluzioni e le frontiere verranno riaperte, credo che ci saranno molte opportunità per le esportazioni". Anche Paul Peters spera in una ripresa delle esportazioni. "Per le vendite, ma anche certamente per la pace nel mondo".

Politica indifferente
Nel commercio belga, invece, c'è stato un po' più di panico, secondo Jeroen Buyck della Calsa. Ripensando al momento in cui è stato imposto l'embargo, Buyck ha compreso subito che avrebbe avuto un grande impatto. "Ricordo bene il momento in cui ho sentito la notizia e il leggero panico che ne è derivato in tutto il settore. All'epoca eravamo già abituati a situazioni difficili nell'export verso la Russia, perché anche prima del boicottaggio avevamo già dovuto affrontare le crisi del Rublo, la chiusura del mercato di Stupinskiy o la crisi dell'EHEC, che ogni volta avevano messo in seria difficoltà l'import da parte del mercato russo. Eppure sapevamo che questa situazione poteva essere di ben altra portata. In quel momento si sperava che si trattasse di una condizione temporanea. Ma allo stesso tempo si iniziavano a cercare diligentemente delle alternative".


Charlotte, Jeroen Buyck e Pol Dendauw della Calsa

"Avevamo appena sostenuto un investimento sostanziale con Calsa, in un nuovo magazzino, soprattutto per far fronte alla crescita verso la Russia, e all'improvviso quella vendita è stata completamente compromessa. All'epoca ci siamo rivolti anche alla politica con diversi colleghi, ma non è servito a nulla. Mi colpì anche l'indifferenza dei politici nei confronti di questo problema, e il fatto che pensassero che l'avessimo creato noi stessi vendendo così tanto nello stesso Paese. Pensavano che ci fossimo resi troppo dipendenti da loro. Il che, ovviamente, era un'assurdità. È stato il mercato libero a determinare l'esistenza di una domanda così elevata nei Paesi dell'ex blocco orientale".

E poiché la Russia era un partner commerciale così importante, il commerciante ha visto un impatto enorme nei primi giorni. "Più della metà delle nostre vendite era destinata alla Russia. Gran parte della nostra organizzazione si basava su questa destinazione. E non eravamo certo gli unici. Alcuni dei nostri colleghi avevano fino all'80% o più delle loro vendite in Russia. Tutto ciò che potevamo fare era concentrarci su tutto ciò che non era la Russia e cercare di massimizzare le vendite ovunque al di fuori di quel Paese".

"A quel punto abbiamo cambiato completamente la nostra strategia: invece di esportare a distanza, abbiamo ripiegato completamente sui Paesi intorno a noi o comunque più vicini, soprattutto Francia e Germania, ma anche Polonia, Spagna, Italia. Ci siamo impegnati a fondo per far decollare le vendite ovunque e abbiamo anche cercato la collaborazione di alcuni colleghi. Fortunatamente ci siamo riusciti. Ora le nostre vendite sono più che raddoppiate rispetto a 10 anni fa, nonostante la Russia sia stata completamente eliminata dalle nostre vendite".

Nessun mercato paragonabile
Anche Tony Derwael di Bel'Export se lo ricorda come fosse ieri. "Ci sono giorni in cui ti ricordi esattamente cosa stavi facendo in quel momento. Sono eventi storici, come l'11 settembre, che non puoi non ricordare. Nel nostro settore è stato lo stesso nel ricevere la notizia dell'embargo russo. Metà delle nostre pere andavano in Russia. Se poi da un giorno all'altro perdi un cliente che ne compra la metà, hai un grosso problema. Questo ha causato il panico. Non lo dimenticherò mai".


Tony Derwael

"Il primo anno, quindi, i prezzi hanno subito un brusco calo. Poi è stato necessario cercare altri mercati, ma non è così facile", spiega Tony. "La Conference è molto saporita, ma in nazioni come gli Stati Uniti o la Cina vogliono una pera liscia e bulbosa. La Conference non è così, quindi trovare un nuovo mercato, come la Russia, non è stato facile. Oserei anche dire che non l'abbiamo ancora trovato. Eppure molte aziende sono riuscite a far fronte alla situazione attingendo a una serie di altri mercati. Anche noi abbiamo visto che la Germania, ad esempio, è diventata un cliente molto importante negli anni successivi. E' entrato nel nostro target, per così dire, perché più della metà della produzione italiana di Abate Fetel è andata persa. La Conference è un'ottima sostituta, essendo simile per forma e sapore, e ciò ci ha permesso di inserirci bene".

Nessuna soluzione a breve
Guardando al futuro, entrambi gli operatori belgi non vedono quindi un ritorno al mercato russo a breve. "Sarà la politica a determinarlo", continua Jeroen. "Se non ci sarà un embargo, probabilmente alcuni prodotti torneranno a circolare senza problemi, e penso soprattutto alle pere Conference. Ma per altre referenze, come la maggior parte delle verdure, questo mercato non tornerà più come prima. Per le lattughe, i peperoni o i pomodori, le posizioni europee sono state nel frattempo occupate da altri Paesi, come il Marocco, l'Iran, la Cina. Nel corso degli anni, anche la qualità dei prodotti provenienti da questi Paesi è migliorata enormemente, quindi possiamo fare meno differenza in questo settore. Anche questi coltivatori non rinunceranno facilmente alla loro posizione".

"Ma in realtà, soprattutto, non credo che la questione si risolverà politicamente a breve. Siamo di nuovo in un periodo di guerra (fredda) e quella precedente è durata circa 70 anni. Anche con la fine della guerra in Ucraina, non torneremo agli affari di sempre. Le differenze politiche sono diventate troppo grandi per poterlo fare".

Tony è d'accordo: "In effetti, non credo che le cose andranno mai più bene. È semplicemente una nuova realtà con cui dobbiamo fare i conti. La volontà di Stati Uniti, Europa e Russia non è in grado di fermare il conflitto. Le tensioni non fanno che aumentare e nel frattempo altri Paesi ne hanno beneficiato. In questo caso, la Turchia, che ha conquistato un'ampia fetta del mercato russo delle mele e delle pere. Ne stanno raccogliendo i frutti e noi dovremo cercare altre soluzioni".

Per maggiori informazioni
Bart Leegwater
Paul Leegwater
Mossel 21
1723 HZ Noord-Scharwoude - Paesi Bassi
Tel: +31 (0) 226 362 202
Cell: +31 (0) 651 534 409
[email protected]
www.paul leegwater.com

Paul Peters
Gebr. Peters Fruithandel
Culekampseweg 2
4031 JG Ingen - Paesi Bassi
+31 6 51 11 13 17
[email protected]

Jeroen Buyck
Calsa
Roeselaarsestraat 9b
8850 Ardooie - Belgio
+32(0) 51 74 73 74
[email protected]
www.calsa.be

Tony Derwael
Bel'Export
Neremstraat 2
3840 Borgloon - Belgio
+32 12 440 551
[email protected]
www.belexport.com

Data di pubblicazione: