La presenza, fuori norma, di residui di prodotti fitosanitari negli alimenti, vietata dall'articolo 5, lettera h) della legge 283/62, è da sempre fonte di preoccupazione per agricoltori e operatori del settore ortofrutticolo. La disposizione genera particolare apprensione, poiché anche gli imprenditori più scrupolosi possono trovarsi esposti a contestazioni, non necessariamente per negligenza diretta. Le cause possono essere molteplici: dalla contaminazione involontaria dovuta alla deriva di sostanze provenienti da campi limitrofi, fino a errori commessi da altri soggetti della filiera. La criticità principale risiede nel fatto che anche violazioni non intenzionali possono comportare severe conseguenze, inclusi procedimenti penali.
La riforma Cartabia ha introdotto in questa materia significative novità, i cui effetti sono, tuttavia, ancora oggetto di approfondimento da parte della dottrina e della giurisprudenza. Per fare chiarezza sul tema, interviene con l'avvocato Gualtiero Roveda, consulente di Fruitimprese.
FP: La riforma Cartabia ha portato cambiamenti importanti al sistema giudiziario italiano. Questi cambiamenti riguardano anche la violazione dell'art. 5, lett. h) della legge 283/62?
GR: Sì, la riforma ha toccato vari ambiti del diritto penale, inclusa la sicurezza alimentare. Ha introdotto una nuova causa di estinzione di alcuni reati attraverso l'adempimento delle prescrizioni degli organi di vigilanza e il pagamento di sanzioni ridotte, riducendo così il carico sui tribunali per violazioni di lieve entità.
L'avvocato Gualtiero Roveda, consulente Fruitimprese
FP: È corretto affermare che questa procedura ricalca quella prevista in materia di sicurezza sul lavoro?
GR: Esattamente. La riforma ha introdotto una procedura di estinzione del reato per contravvenzioni in ambito alimentare, prevedendo che l'organo accertatore, come ASL, NAS o Capitaneria di porto, imponga misure correttive per far cessare le situazioni di pericolo o la prosecuzione di attività potenzialmente pericolose per la sicurezza, stabilendo un termine per adeguarsi.
FP: Si applica anche nel caso in cui, a causa della deperibilità del prodotto, non sia più possibile ritirare la merce, ossia in assenza di prescrizioni attuabili?
GR: Questo è il nodo centrale della questione. Alcune Autorità hanno già adottato l'interpretazione secondo cui è possibile ammettere il contravventore al pagamento di una sanzione amministrativa anche in assenza di prescrizioni concretamente attuabili. Pare che questa linea interpretativa stia progressivamente prevalendo. Tale prassi si fonda sulla finalità deflattiva dell'istituto estintivo, orientata a favorire la compliance aziendale e l'efficienza del sistema sanzionatorio, come già avvenuto nei settori della sicurezza sul lavoro e della tutela ambientale. In ogni caso, l'Autorità di polizia giudiziaria ha la facoltà di impartire prescrizioni di carattere organizzativo o procedurale, che potrebbero riguardare, ad esempio, l'aggiornamento dei manuali di autocontrollo o la revisione delle procedure aziendali.
FP: A quanto ammonta la sanzione amministrativa?
GR: Per la contravvenzione in esame è prevista una sanzione pari a un sesto dell'importo massimo stabilito dalla norma violata che corrisponde a 7.746,83 euro. Una volta effettuato il pagamento, il reato si estingue e il Pubblico Ministero ne chiede l'archiviazione.
FP: In ogni caso, è preferibile subire una sanzione amministrativa, anche se di importo maggiore, piuttosto che una penale.
GR: Certo. Una sanzione amministrativa comporta esclusivamente conseguenze di natura economica, mentre una sanzione penale, configurandosi come reato, ha ripercussioni più gravi sulla sfera giuridica del soggetto e può incidere negativamente sul suo futuro personale e professionale.